Introduzione
Essere medico, oggi, non è semplice, si
devono fornire risposte, motivare, comunicare diagnosi e terapie, interpretare
bisogni ed i pazienti sono sempre più esigenti ed “informati”.
Il medico è spesso “parte del problema” del
paziente, rappresenta colui che deve “dare risposte”. Queste risposte possono
essere comunicate in molti modi, dando diverse visioni di sé e motivando
diversamente il paziente. Tecnicamente tra i compiti del medico non vi è solo
quello di informare sulla diagnosi e sulla terapia, ma anche quello di essere
“terapeuta” come figura, di dare assistenza a chi si rivolge a lui con fiducia,
avendolo spesso preferito ad altri colleghi, ma soprattutto deve comunicare con
chi è nello “status” di malato, di persona che unisce al disagio della
patologia, quello dell’accettazione della stessa. Il ruolo terapeutico del
medico come “figura” prevale su quello del medico come semplice “prescrittore
direttivo”. È per questo che occorre attivare un processo di consapevolezza e
di supporto per conferire “maggior potere” al paziente in senso positivo,
facendosi percepire e migliorando gli aspetti della relazione. Questo “maggior
potere” produrrà un cambiamento da parte del paziente, in termini di
accettazione della diagnosi e di accettazione della terapia, ma soprattutto
potrà produrre le energie che gli sono necessarie. Questa brevissima, se
vogliamo filosofica missione, oggi è decisamente rilevante in una professione,
quella medica, dove il servizio reso al paziente è determinato anche dalla
“Qualità percepita” da parte dello stesso, aumentandone così la motivazione
alla cura e la conseguente efficacia.
Il Counseling permette a due
interlocutori che dialogano, di instaurare una relazione ottimale, per
“alleggerire” il peso di preoccupazioni, ansie, paure. Molto importante, per il
counselor, far percepire una modalità di ascolto partecipativa, sensibile e di
condivisione dei temi affrontati.
La concezione del Counseling, come
efficace metodologia di comunicazione e relazione dialogica, è già diffusa in
medicina nel nostro Paese ma si deve ancora molto approfondire e sviluppare
professionalmente.
Il Counseling, infatti, non è solamente
una professione a sé, ma è anche una componente di molte altre professioni
nelle quali conta il rapporto interpersonale e la qualità della comunicazione e
l’empatia.
Il Counseling medico fu ispirato dal
medico e psicoanalista inglese Balint. Quanto emergeva dalla sua esperienza era
che la competenza tecnica del medico, ancorché necessaria, non bastava. Anzi,
in alcune circostanze poteva addirittura essere di ostacolo alla costituzione
di una buona relazione medico-paziente, limitando alcuni aspetti essenziali del
processo di cura. Da allora l’esperienza del Counseling medico si è sviluppata
e ampliata, coinvolgendo argomenti di carattere filosofico e bioetico e
culturale
"Il medico è la medicina", si dice spesso, e una
parola giusta, detta al momento giusto può essere più terapeutica di molte
altre cure, tanto quanto una diagnosi comunicata senza la adeguata delicatezza
può rivelarsi più deleteria del problema organico in sé. Uno degli obiettivi
del Counseling, quindi, è anche quello di educare i professionisti, quelli
operanti in campi a stretto contatto col pubblico, a una educazione più
consapevole
Introduzione al
counseling
“Ognuno di noi è unico e
irripetibile, ha talenti e potenzialità che possono essere riconosciuti e
sviluppati. La volontà è la capacità di dare fiducia a ciò che si è e di
avviarsi verso ciò che si può diventare.”
(Marcella Danon)
Il termine Counseling (o anche Counselling
secondo l'inglese
britannico)
indica un'attività professionale che tende ad orientare, sostenere e sviluppare
le potenzialità del cliente, promuovendone atteggiamenti attivi, propositivi e
stimolando le capacità di scelta.
Il Counselor è un esperto in relazioni,
pertanto si occupa di favorire le relazioni intrapersonali ed interpersonali ,
il processo di cambiamento e dell’attività di aiuto a persone, gruppi
,organizzazioni e comunità.
Il sostantivo counseling deriva dal verbo inglese to counsel, che risale a sua volta dal verbo latino consulo-ĕre,
traducibile in "consolare", "confortare", "venire in
aiuto".Quest'ultimo si compone della particella cum
("con", "insieme") e solĕre
("alzare", "sollevare"), sia propriamente come atto, che
nell'accezione di "aiuto a sollevarsi". oppure “cum” “solus” nel
senso di essere con chi è solo. Per consolare occorre avere qualcosa da
raccontare ed entrare in relazione con l’umanità dell’altro. Il counseling, in
questa luce, concerne la natura delle relazioni umane.
Il concetto di umano precede il concetto
di persona, così come il concetto di umanità precede il concetto di
personalità. L’essere umano diventa persona nella relazione con l’altro e
sviluppa la sua identità biologica attraverso le occasioni a lui proposte dagli
incontri con le persone essenziali nel corso della sua vita. La sua identità
emerge dalla sua natura umana e prende forma nella costruzione della sua
personalità. L’approccio del counseling all’umano si configura come processo di
relazione con l’umano presente nelle soggettività che il counselor incontra.
In senso tradizionale, il counseling è un
processo di interazione fra due persone,il counselor ed il cliente,il cui
scopo è quello di “abilitare il cliente
a prendere una decisione riguardo a scelte di carattere personale o a problemi
o difficoltà specifiche che lo riguardano direttamente” ( Burnett 1977). La
solitudine, il dubbio, l’aggressività , la sessualità, la morte, la mancanza di
autostima sono i più comuni esempi di difficoltà.
Pur non svolgendo un’attività terapeutica
il counselor attraverso l’offerta di tempo, attenzione, accettazione,
comprensione, rispetto, autenticità, empatia, con il sostegno di
specifiche metodologie, promuove lo
sviluppo del cliente aiutando quest’ultimo a trovare la voglia, i modi, la
fiducia, le risorse per svolgere la propria esistenza in modo costruttivo.
Il Counseling si basa sull’ intuizione
rogersiana secondo la quale, se una persona si trova in difficoltà il miglior
modo di venirle in aiuto non è quello di dirle cosa fare quanto piuttosto quello
di aiutarla a comprendere la sua situazione e a gestire il problema assumendo
da sola e pienamente la responsabilità delle scelte eventuali.
Il
processo di Counseling enfatizza l’importanza dell’autopercezione,
dell’autodeterminazione e dell’autocontrollo: il risultato finale è
misurabile attraverso “ il grado in cui si riesce a rendere una persona capace
di azioni razionali e positive, a renderla più soddisfatta, più in pace con se
stessa, più capace di condurre una vita serena e socialmente integrata ( Zavallone
1977).
Fare Counseling vuol dire soprattutto
trasmettere la capacità di sapere, saper fare ma
soprattutto saper essere. Compito del counselor
è quello di assistere il cliente nella ricerca del suo vero sé e poi di
aiutarlo a trovare il coraggio di essere quel sé ( Rollo May ) e favorire
l’integrazione tra ciò che il cliente vorrebbe essere, ciò che è e ciò che
pensa di essere.
Il Counselor non fa terapia, non opera cure di nessun genere, non fa
psicoterapia, nè consulenza, non insegna psicologia e genericamente non usa mai
il prefisso psico se non acquisito per competenza.
Il Counseling, infatti, differisce dalla
psicoterapia ,in quanto l’individuo in tal caso è portatore non di un problema
specifico ma di un disturbo strutturale di personalità , rispetto al quale
occorre invece operare una ristrutturazione globale del proprio modo di essere e dell’intero quadro
cognitivo.
La figura professionale del Counselor
nasce negli anni trenta in America e risponde a tutte quelle persone che pur
"non desiderando diventare psicologi o psicoterapeuti svolgono un lavoro
che richiede una buona conoscenza della personalità umana." (Rollo May)
Nel caso specifico del Counselor non sarà sufficiente una adeguata formazione
teorica ma occorrerà che le teorizzazioni siano in parte esperite attraverso un
"training professionale individuale e/o di gruppo", che garantisca il
superamento da parte del Counselor di quella tendenza dell’io ad
"esercitare un counseling sulla base di propri, più o meno rigidi,
pregiudizi". (Rollo May).
Ma è senz'altro Carl Rogers che getta le
fondamenta del Counseling come lo intendiamo noi oggi con il suo testo: “Counseling
e Psicoterapia” (1940) e la successiva definizione della Psicologia
esistenziale. Nel 1952 nasce in America la Counseling Association, sull'onda di
un incredibile sviluppo del Counseling come servizio di consulenza ed
educazione.
In Europa il Counseling nasce negli anni
70, principalmente in Gran Bretagna, come servizio di orientamento pedagogico e
strumento di supporto nei servizi sociali e nel volontariato. Vengono create
successivamente due importanti associazioni di riferimento, la British
Association for Counseling (
BAC ) e nel 1994 l'European
Association for Counseling ( EAC ).
In Italia, nel 1993 si costituisce la S.I.Co., Società Italiana di Counseling, che si
prefigge l'obiettivo di riunire in un unico organismo i Counselor e le
organizzazioni che si occupano di Counseling e nel 1996 viene costituita la FAIP, la“FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI ITALIANE DI PSICOTERAPIA
che ha lo scopo di raccogliere in un’associazione comune le organizzazioni
professionali impegnate nel rapporto di aiuto alla persona, nonché singoli
professionisti, censiti in categorie ben distinte.
La FAIP si articola infatti in due
diverse divisioni assolutamente autonome per quanto riguarda gli indirizzi, le
linee guida e gli ambiti professionali, ciascuna delle quali ha un’autonoma
rappresentanza democratica.
Tali commissioni sono:
-La Divisione Psicoterapia;
-La Divisione Counseling.
In quali contesti è possibile operare il counseling?
In teoria non esiste un campo di attività
specifico per il Counseling. Se pensiamo al ruolo del Counselor come la persona
che favorisce lo sviluppo e l’utilizzazione delle potenzialità già insite nel cliente,
aiutandolo a superare quei problemi di personalità che gli impediscono di
esprimersi pienamente e liberamente nel mondo, ci rendiamo immediatamente conto
che tutto questo può avvenire in ogni tipo di contesto. Infatti, in funzione di
ciò il Counseling si sta affermando in ogni campo professionale con lo scopo di
migliorare le relazioni interpersonali a seconda dei contesti con adeguate
formazioni specifiche.
Avremo dunque, con le dovute variazioni
di contesto:
•Counseling individuale, di coppia,
familiare, di gruppo
•Counseling scolastico.
•Counseling aziendale (piccole, medie e
grandi industrie, o in ogni caso unità lavorative strutturate)
•Counseling sessuologico (relativo alla
coppia e alle varie tendenze sessuali o alle violenze e agli abusi sessuali)
•Counseling per persone in stato avanzato
di malattia (AIDS Cancro)
Esistono, inoltre, “il Counseling Psicologico”, che prevede la diagnosi psicologica,
l’orientamento, la prevenzione, il sostegno, la riabilitazione, è una attività di
esclusiva competenza del ruolo professionale dello psicologo (che avrà seguito
a sua volta una formazione per Counselor).
E ancora “il Counseling Medico”che indica le abilità e le qualità necessarie in
ambito sanitario per facilitare la comunicazione nella situazione di cura; tale
attività prevede la diagnosi fisica, prescrizione di farmaci, esami
specialistici, ricoveri ed è di pertinenza esclusiva del medico (che anche in
questo caso avrà seguito una formazione
per Counselor).
Definizione della
"Figura Professionale del Counselor".
Il Counselor è la Figura
Professionale che, avendo seguito un corso di studi almeno triennale, ed in
possesso pertanto di un diploma rilasciato da specifiche scuole di formazione
di differenti orientamenti teorici, è in grado di favorire la soluzione di disagi
esistenziali della sfera emotiva che non comportino tuttavia una
ristrutturazione profonda della personalità.
L'intervento di Counseling
può essere definito come la possibilità di offrire un orientamento o un sostegno a singoli individui o a gruppi, favorendo lo sviluppo e l'utilizzazione delle potenzialità del
cliente. All'interno di comunità: ospedali, scuole, università, aziende, comunità
religiose, l'intervento di Counseling è mirato da un lato a risolvere nel
singolo individuo il conflitto esistenziale o il disagio emotivo che ne
compromettono una espressione piena e creativa, dall'altro può inserirsi come
elemento facilitante il dialogo tra la struttura e il dipendente.
Tratto dal Codice deontologico della Federazione PREPOS:
Il professionista formato ad esercitare la
professione del Counseling è chiamato “ Counselor”. Il Counselor è il
professionista che mediante ascolto, sostegno e orientamento, migliora le
relazioni interpersonali ( la relazione di ogni persona con se stessa) ed
extrapersonali (le relazioni nella coppia, nella famiglia, nei gruppi, nelle
formazioni sociali e nelle istituzioni).
Questa semplice definizione
del counseling, proposta da PREPOS ed accettata nel Convegno Nazionale della
FAIP del 12 febbraio 2006, descrive l’operatività di una professione il cui
esercizio richiede abilità relazionali, conoscenza di sé e delle proprie emozioni
e competenze comunicative.
Non è una professione
pedagogica, medica, giuridica, sociologica, psicologica, psicoterapeutica,
assistenziale, spirituale, religiosa, economica, aziendale, morale, scolastica,
politica, filosofica, del benessere, dell’estetica, della disabilità, della
mediazione interpersonale, dell’orientamento pur esplicandosi nell’area di
lavoro di queste altre diverse professioni.
Il Counseling è piuttosto costituito da una serie di abilità, di
esperienze e di comprensioni sul significato della natura umana e della
relazione tra uomini. L’attività del Counselor è
quella di una educazione, o rieducazione, all’umanità nel rapporto che il
cliente ha con se stesso, con gli altri e con il Counselor stesso; il Counselor
è lo strumento umano per favorire lo sviluppo dell’umanità del cliente.
Definizione del Counseling
Il Counseling è una relazione
d’aiuto che muove dall’analisi dei problemi del cliente, si propone di
costruire una nuova visione di tali problemi e di attuare un piano d’azione per
realizzare le finalità desiderate dal cliente (prendere decisioni, migliorare
relazioni, sviluppare la consapevolezza, gestire emozioni e sentimenti superare
i conflitti)
Def. Approvata al Convegno Nazionale Faip (
Federazione delle Associazioni Italiane di Psicoterapia e Counseling) del 2006.
Il Counseling è una modalità
di relazione, che principalmente accoglie, stimola e da speranza di piena
realizzazione di se stessi all’umanità della persona. Focus del Counseling è
l’individuo con la sua umanità e spiritualità (intesa come senso e significato
dato alle principali sfide della vita). Il Counseling aiuta il cliente ad
aiutarsi attraverso l’offerta genuina di tempo, attenzione, onestà,
professionalità, congruenza, empatia e anelito a una speranza frutto di scelte
consapevoli.
Il Counseling relazionale
esistenziale può essere visto come uno strumento per accettare i passaggi
dell’esistenza (separazione, morte, felicità, crescita, senso della propria
vita, etc). Il Counseling inteso come metodologia per ritrovare se stessi, le
proprie speranze, il proprio carattere, i propri valori, i propri schemi di
riferimento.
Def. del Dott. Francesco Saviano.
Il
Counseling è un uso della relazione basato su abilità e principi che sviluppa
l’accettazione l’autoconsapevolezza e la crescita. Può essere mirato alla
definizione di problemi specifici, alla presa di decisioni, ad affrontare i
momenti di crisi, a confrontarsi con i propri sentimenti e i propri conflitti
interiori o a migliorare le relazioni con gli altri .rispettando i valori, le
risorse personali e la capacità di autodeterminazione.
Def della
British Association for Counselling, 1992
L’OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce il Counseling come un processo
focalizzato, limitato nel tempo e specifico che tramite il dialogo e
l’interazione personale mette in condizione la persona di gestire le difficoltà
e potenziare le proprie risorse , creando le condizioni relazionali che
contribuiscono al suo ben-essere.
Il
Counseling è un intervento breve racchiuso in un numero limitato di colloqui
(non oltre i 12-15 per ciclo), della durata di 45-50 minuti. Si tratta in
genere di un percorso individuale ma, secondo la situazione, può coinvolgere
anche la coppia e il gruppo. L’intervento si avvale di metodologie operative
flessibili orientate alla definizione di un percorso nel quale il cliente è
agevolato nella formulazione di un suo problema e a individuare gli strumenti a
disposizione adatti per affrontarlo.
La
dimensione temporale è quella del “qui ed ora”
centrata sul presente della relazione. La durata complessiva della relazione è
quella strettamente necessaria al cliente per raggiungere i suoi obiettivi e
dipende in gran parte dalla sua collaborazione e dal suo impegno attivo, anche
al di fuori del colloquio di Counseling. Il raggiungimento degli obiettivi
determina la conclusione naturale dell’intervento, a meno che non emerga un
nuovo bisogno da parte del cliente e si concordi un nuovo ciclo di incontri
regolato da un contratto professionale. Tuttavia, in molti casi, è sufficiente
un unico ciclo di incontri. La periodicità dei colloqui viene concordata
durante il percorso, che si svolge con la garanzia della totale riservatezza,
in un ambiante accogliente e confortevole.
La personalità del Counselor
Il counselor può lavorare solo attraverso se
stesso; Adler afferma, infatti: “la tecnica del trattamento deve essere dentro
di voi”. Tutto questo presuppone che il
professionista conosca prima di tutto molto bene se stesso e non soltanto
approcci teorici e aspetti tecnici della sua professione. Significa essere in
grado di ri-conoscere e ri-contattare quello che sempre di fronte alla relazione
nuova con l’altro in sé prende forma: immagini, fantasie, emozioni, sensazioni.
Conoscere se stessi vuol dire per esempio capire come condurre la persona in
bisogno verso quella “alleanza terapeutica” che
gli permetterà di favorire l’auto-analisi e far luce sui suoi problemi.
Bisogna
allora prima di tutto essere consapevoli come Counselor delle proprie risorse e
dei propri limiti. Puntare prima di ogni altra cosa a prendere coscienza di
eventuali problemi personali, se ve ne sono, che potrebbero influenzare
negativamente la relazione terapeutica. Essere consapevoli di quali emozioni,
argomenti, situazioni possono metterci a disagio. Verificare se l’essere
esposti a emozioni e sentimenti molto intensi (rabbia, paura, dolore, passioni)
possano procurare frustrazione, imbarazzo, sofferenza, oppure far rivivere
analogie problematiche e non risolte con la propria esistenza. Elementi tutti
che, magari inconsapevolmente, potrebbero condurre il Counselor ad assumere
atteggiamenti evitanti e inefficaci nella relazione terapeutica.
Conoscere se stessi vuol dire allora imparare a gestire le proprie
emozioni davanti a quelle del cliente, e non andare in confluenza con le sue.
Pertanto
il Counselor deve essere autentico, una persona
reale spontanea e trasparente il cui obiettivo non è stabilire chi o come debba
essere il cliente, ma cercare prima di tutto di diventare se stesso, di
realizzarsi, inteso come scoprirsi reale per essere sempre più autentico.
Questo modo di essere permette una comunicazione aperta con il cliente, senza
maschere o finzioni, in cui il counselor condivide ed esprime apertamente se
stesso e i propri sentimenti se questi sono utili nella chiarificazione di un
pensiero espresso dal cliente. Questa autenticità può e deve essere ottenuta
attraverso il superamento da parte del Counselor dei propri più o meno rigidi
pregiudizi che non permettono di dimostrare al cliente un’accettazione
positiva incondizionata verso la sua unicità e individualità, pronti ad
accoglire prima che il suo problema la sua persona. Vedere gli altri attraverso
i propri pregiudizi è certamente, secondo Rollo May, il blocco peggiore e più
deviante nella personalità del Counselor. Questa tendenza non può essere
eliminata del tutto ma può essere tenuta sotto controllo anche attraverso un
percorso di crescita e di autoanalisi svolta dal Counselor stesso.
Liberarsi
o quantomeno tenere sotto controllo i propri pregiudizi permette al Counselor
di esprimere al cliente un atteggiamento comprensivo e
non giudicante che a sua volta promuove lo sviluppo interiore del
cliente favorendo il raggiungimento di una crescente fiducia nella relazione
d’aiuto e nel Counselor stesso.
Il Counselor , inoltre, deve essere una persona empatica, cioè deve sperimentare, sentire
il mondo del cliente come se fosse il proprio, senza mai perdere di vista la
qualità del "come se". Comporta l'essere sensibile, da parte del Counselor,
al cambiamento dell'esperienza soggettiva del cliente. E' questa qualità che
permette di sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d'onda della persona e che le
permette l'inizio della relazione d'aiuto .
L’empatia è una capacità innata ma in
gran parte può essere acquisita e il suo sviluppo è la conseguenza di una
chiarificazione personale del Counselor e dell’interesse e del piacere che egli
trae dal contatto con gli altri. Il Counselor è pertanto tenuto a sviluppare la
sua capacità di empatia. Ciò comporta imparare a rilassarsi mentalmente,
spiritualmente, e anche fisicamente, imparare ad abbandonare il proprio sé
all’altro e, in questo processo, essere disposti a venire trasformati. Si
tratta di morire a se stessi per vivere con gli altri. È la grande rinuncia al
proprio sé, la perdita temporanea della propria personalità, per ritrovarla
infinitamente più ricca nell’altro. “Ciò che tu semini non riprende vita se
prima non muore…”. (Rollo May).
L'ideogramma
giapponese "in ascolto" ben sintetizza, e allo stesso tempo integra,
le qualità del buon counselor e di qualunque altro professionista della
Relazione d'aiuto.
Difatti,
l'Ascoltare (con la A maiuscola!) non è cosa da tutti. Come vedremo, contempla
differenti dimensioni e si presenta come un connubio di più qualità. Il
cosidetto "Ascolto attivo" è sintesi
dell'essere "Centrati sul cliente"
nella sua totalità, ascoltare ed essere ricettivi con tutti i nostri sensi.
Ma
vediamo le parti che costituiscono l'ideogramma:
-
Orecchio.
Chi ascolta deve avere un "buon orecchio". Quando si ha di fronte una
persona che parla è fondamentale prestare attenzione; sia al 'Cosa', ovvero al
contenuto, sia al 'Come', dunque alla forma. Comprendere la domanda che ha
portato il cliente a rivolgersi al professionista è indispensabile per far
partire una relazione d'aiuto. Il "buon orecchio" permette al Counselor
di isolare e riconoscere quegli aspetti verbali e non verbali che maggiormente
possono essere utili al cliente, rimandandoglieli per un lavoro di
consapevolezza ed esplorazione. L'arte del "porgere orecchio" rimanda
alla capacità di ascoltare il problema del cliente e comprenderlo
intellettualmente, assumendo il suo punto di vista (empatia cognitiva).
Permette di afferrare ciò che quest'ultimo sta tentando di comunicare e ciò che
in quel momento sta sentendo, ovvero il suo quadro concettuale di riferimento.
-
Alterità/TU.
L'uomo è in relazione. Non si configura come un Io, ma come un Io-Tu di buberiana memoria, un'isola che getta
continui ponti sull'Altro da sé. Il principio della dialogicità e dell'incontro
è indispensabile in una Relazione d'aiuto che voglia essere tale. E'
comunicazione con l'altro, apertura, avvicinamento, costruzione di ponti di
comunicazione che portano al dialogo. Dialogo che
contempla la dimensione del Noi, che rimanda al costrutto dell'empatia,
ovvero alla capacità, non solo di riconoscere l'altro ma, di entrarci in
contatto, "sentirlo dentro", partecipare alla sua esperienza
soggettiva. Come diceva Ardigò: "istituire comunicazioni inter-soggettive
sino a mettersi nei panni dell'altro". Alterità significa quindi
attraversare e lasciare la propria cornice di riferimento per entrare in quella
del cliente, aprirsi a ciò che quest'ultimo sperimenta nel qui ed ora. Cliente
con dignità e valore, con energie per far "tornare acqua alla sua
fonte". Il costrutto della Relazione costituisce lo sfondo su cui ogni
Relazione d'aiuto acquista valore e significato.
-
Cuore.
"Addio", disse la
volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col
cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli
occhi", ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la
tua rosa, che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia
rosa...", sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa
verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di
quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa...".
"Io sono responsabile della mia
rosa..." ripeté il piccolo principe per ricordarselo. [A.De Saint Exupery,
p.98].
L’ascolto attivo che il Counselor esprime al cliente è un
ascolto comprensivo. Saper ascoltare attivamente ha a che fare con il cuore,
con l'atteggiamento caldo e accogliente del counselor, del suo calarsi
affettivamente ed emotivamente nel mondo interiore del cliente (empatia
affettiva), sintonizzandosi sulle sfumature delle emozioni e dei sentimenti. Un
sano atteggiamento affettivo nei confronti del cliente lo aiuta a crescere, a
fidarsi all'interno della relazione, a creare quel ponte sicuro che gli
permette di avventurarsi nel suo mondo in compagnia del Counselor.
-
Unità/Unione.
Si riferisce alla completezza, all'integrazione (di gestaltica memoria) delle
diverse parti e dei differenti aspetti che costituiscono la persona. E' un far
scoprire e far sperimentare al cliente la sua forma, la
sua interezza, la sua unione di cuor e mente, di sentimento e intelletto,
in un approccio olistico in grado di abbracciare la sua interezza. La Persona,
infatti, è prima di tutto, un intero. Presupposto, questo, che costituisce una
delle pietre angolari dell'approccio gestaltico che, all'interno della
relazione d'aiuto, prende forma nell'inseparabile unità dell'esperienza umana
nel suo costituirsi momento dopo momento. L'invito al cliente è di essere se
stesso il più pienamente e completamente possibile.
-
Occhio.
"Vedere" e non guardare, costruire un contatto visivo con l'Altro,
dimostrando attenzione e presenza. Uno sguardo attento, interessato e non
fugace. Si ascolta non soltanto con le orecchie e con l'udito ma anche tramite
gli occhi. Da ciò discende il costrutto di Ascolto
totale, attento non solo alle parole, ma anche a tutto ciò che viene comunicato
attraverso il corpo. Porgere e posare lo sguardo sulla persona significa
dirle: "Sono qui per ascoltarti, hai la mia piena attenzione. Saper
ascoltare implica un "Saper osservare", condurre un'osservazione
competente.
Occorre
precisare che un Counselor, non è un “salvatore”,
ha egli stesso pulsioni e sentimenti che deve essere in grado però di saper
governare, attraverso il raggiungimento di una maggior auto-consapevolezza di
sé e del suo lavoro, accettando anche i propri errori, e i propri limiti, non
evitando di esporsi al confronto e alle critiche costruttive. Il Counselor deve
sviluppare quello che Adler chiama “il coraggio dell’imperfezione” ovvero la
capacità di sbagliare. Coraggio dell’imperfezione significa portare i propri
sforzi su un campo di battaglia importante, là dove si compiono cose
significative e dove il fallimento o il successo diventano questioni
relativamente secondarie. Infatti, il cosiddetto “complesso del Messia” risulta
essere l’espressione di un’eccessiva ambizione da parte del Counselor che
ritiene il proprio lavoro indispensabile all’umanità.
In
genere un buon Counselor non è colui che risolve i problemi degli altri, ma un
professionista esperto nella relazione d’aiuto. Può limitarsi ad aiutare il suo
cliente ad imparare da solo a gestire e risolvere i suoi problemi, e non
risolverli al suo posto. Ma la
differenza tra salvatore e agevolatore è anche un’altra e serve a comprendere
quali sono i limiti umani e professionali di questo lavoro.
Il
professionista della relazione d’aiuto non è chiamato a trovare la soluzione al
problema altrui, ma è chiamato a sostenere l’altro nel recuperare ed esercitare
al meglio le proprie capacità creative personali per comprendere e valutare in
maniera appropriata azioni presenti e passate e assumere decisioni opportune
riguardo al suo futuro.
Il
tentativo è quello di ricondurre l’individuo in bisogno a se stesso, potenziare
la sua motivazione a mettersi in auto-ascolto per attivare quelle energie
interiori che lo conducano in tutta autonomia a porsi di fronte alla vita con
un atteggiamento nuovo e diverso rispetto al passato: attivo, propositivo,
costruttivo.
In
nessun caso il Counselor potrà mai fare a meno, di una supervisione
competente a cui fare riferimento e di “un lavoro su se stesso” (un
proprio percorso di auto-ascolto, di un Training di formazione adeguato cui il
professionista è chiamato a sottoporsi per raggiungere una crescita personale
matura e consapevole), per essere sempre nella maniera più opportuna di
sostegno al proprio cliente. Essere aperti alla supervisione, e a un lavoro su
se stessi continui, dunque, rappresentano più di un addestramento, o di una
consultazione. Ricordano il processo stesso del Counseling, specialmente quando
si vanno ad esplorare problemi personali del supervisionato emersi nella
relazione d’aiuto.
Alle
volte, soprattutto all’inizio della professione ci possono essere momenti
critici che possono riguardare il contro-transfert del professionista, i suoi
sentimenti, contraddizioni e ambivalenze, le sue difficoltà relazionali con il
cliente. Attraverso la super-visione si possono approfondire questi temi
consentendo al counselor un’auto-esplorazione
e un’ aggiornamento, caratteristiche fondamentali di una professione che
per raggiungere ed aiutare l’altro, fare un lavoro di qualità e fa crescere l’altro
come individuo ha bisogno di mettere sempre in gioco se stesso in un equilibrio
non statico ma dinamico.
Carl Rogers e la corrente Umanistico-Esistenziale
Le persone si
lasciano convincere più facilmente dalle ragioni che esse stesse hanno scoperto
piuttosto che da quelle scaturite dalla mente di altri.
Blaise Pascal
Carl
Rogers (1902-1987), psicologo e psicoterapeuta americano, può essere
sicuramente considerato il Padre del Counseling; nel 1987 gli fu assegnato il
premio Nobel per la Pace non solo per la sua attività pacifista, ma anche per
il suo pensiero e la sua pratica professionale d'educatore, psicologo e
psicoterapeuta, che furono caratterizzate da un orientamento all'incontro
armonioso tra le persone.
Nato
in una famiglia che gli trasmise valori profondi sia nelle relazione con se
stesso sia in quella con le altre persone, C.Rogers ebbe anche, durante la sua
crescita, altri due nutrimenti interiori fondamentali: il rapporto con il sacro
e quello con la natura. Forse per questa ragione il suo corso di studi
accademico fu particolare: prima s'iscrisse ad agraria, successivamente ad una
facoltà teologica. Dopo un soggiorno di sei mesi in Cina e in seguito alle
riflessioni nate dal contatto con la cultura orientale, poté mettere a fuoco il
suo bisogno di libertà di pensiero e il suo interesse per le scienze psicologiche;
questo lo portò ad intraprendere un corso di studi di carattere psico-pedagico.
Dopo
la laurea, per oltre un decennio lavorò come psicologo presso alcune
istituzioni sociali per la rieducazione di bambini e ragazzi delinquenti e
ritardati e per il sostegno alle loro famiglie. Il suo scopo principale era
essere d'aiuto a queste persone; al tempo stesso sentiva che la prassi
psicologica tradizionale non lo facilitava. Anche confrontandosi con vari
insuccessi, in questo periodo C.Rogers iniziò a mettere a fuoco e a sviluppare
quello che sarebbe stato il suo approccio professionale alla psicoterapia, che
mise in atto fattivamente dal 1924.
Nel
1942 pubblica “Counseling and Psychotherapy” che getta le basi della sua
“Terapia centrata sul cliente”,pubblicato nel 1951 diventando uno dei massimi
esponenti della corrente Umanistica-Esistenziale che si porrà in Europa e nel
mondo come la terza forza della psicologia in alternativa alla psico-analisi e
al comportamentismo. Rogers, infatti, insieme ad altri esponenti tra cui Rollo
May, Viktor Frankl, Abraham Maslow e in ambito italiano
Roberto Assaggioli rifiuta sia il pessimismo insito nella visione
psicoanalitica dell’uomo, sia la concezione dell’uomo come un robot tipica del
comportamentismo.
C.Rogers ha sicuramente espresso nel proprio
approccio ciò che egli era, una persona umana e sensibile, umile e capace, ben
radicata sia nel proprio mondo percettivo sia in quello intellettivo.
Sicuramente una figura interiormente libera eppure pienamente responsabile del proprio
apporto educativo all'umanità. Un essere umano dal quale imparare come persona
e al quale ispirarsi come professionisti delle "relazioni d'aiuto"
La
rivoluzione Rogersiana, rispetto all'approccio della psicologia tradizionale,
inizia dallo spostare l'attenzione del lavoro psicoterapeutico dalla
risoluzione del problema al facilitare l'emersione delle risorse interiori
dell'individuo. Pertanto
il rapporto terapeutico sarà centrato e focalizzato sulla
persona e sulla sua esistenza prima che sul suo problema, sulla qualità del
rapporto umano. Secondo Rogers, infatti, spostando l'attenzione dagli aspetti intellettivi (la mente) a quelli
emotivi (la percezione), e concentrandosi sul presente, “sul qui ed
ora”, espresso dall’individuo si promuove la crescita interiore e una maggiore
capacità di affrontare e gestire le problematiche da parte del cliente.
Scriveva
Rollo May: “Se durante la seduta mi soffermo principalmente sul come e sul
perché è sorto il problema, avrò capito tutto tranne la cosa più importante, la
persona esistente. Avrò capito tutto salvo l’unica vera fonte di dati a mia
disposizione, ossia questo essere umano che sperimenta, emerge, diviene, costruisce
un mondo”.
Una
delle caratteristiche della psicoterapia esistenziale è che le tecniche
cambiano; questi cambiamenti però non avvengono a caso, ma dipendono di volta
in volta dai bisogni della persona. L’incontro terapeutico diventa, pertanto, un’espressione dell’essere, cioè è un rapporto
totale tra due persone, che comporta diversi livelli. Uno di questi è il
livello delle persone reali: l’incontro mitiga la solitudine fisica che
caratterizza tutti gli esseri umani; pertanto il professionista lascia in parte
il suo ruolo d'esperto inteso come qualche cosa che determina "up &
down", e si pone verso il cliente avendo cura della comunicazione e della
relazione, utilizza accoglienza e rispetto anziché formalità e freddezza.
Essendo
tutti gli individui di pari dignità valore e responsabilità , Rogers elimina il concetto di "paziente", trasformandolo
in “cliente”. Tale termine libera la persona dal senso di malattia,
sottintende una reazione paritaria, in cui la persona offre all’operatore la
possibilità di svolgere la sua attività, permettendogli di mettere a frutto le
sue competenze professionali e nello stesso tempo, di acquisire nuovo materiale
esperienziale e formativo. Non c'e' quindi la persona che in maniera del tutto
passiva si affida ad un esperto ma ci sono due persone
(Counselor e Cliente) che fanno insieme un percorso di crescita.
La terapia non
direttiva o centrata sul cliente si basa sul presupposto che ogni
individuo tende all’autorealizzazione, e struttura il proprio Sé ricercando un accordo tra la
valutazione-accettazione dei valori suggeriti dall'esterno, e quelli conformi
alla richiesta di autorealizzazione. Rogers, infatti,
considera la salute mentale come la progressione normale della vita e la
malattia mentale (e altri problemi umani) come distorsioni della "tendenza attualizzante". Quest'ultima è una
forza vitale che può essere definita come la tendenza fondamentale
dell'organismo a realizzare le proprie potenzialità e di autocurarsi; essa
opera sia sul piano ontogenetico che su quello filogenetico e necessita di un
contesto di relazioni umane positive, favorevoli alla conservazione e
rivalutazione dell'Io. Se la nozione dell'Io è realistica, ovvero se vi è
corrispondenza tra le capacità che il soggetto crede di possedere e quelli che
effettivamente possiede, egli sarà congruente e potrà svilupparsi in modo
unitario, autonomo e soddisfacente. In genere il
cliente si trova in una situazione di incongruenza tra l'esperienza reale
dell'organismo e l'immagine di sé che egli ha quando si rappresenta
l'esperienza. Lo scompenso nasce quando l’individuo, durante l’età infantile,
vive situazioni insolite e anormali che comportano
gravi fratture che non favoriscono il normale sviluppo. Per Rogers è nell’infanzia che si forma il concetto di sé. Il bambino
piccolo, quando nasce, ha in sé la capacità di scegliere o rifiutare in modo
chiaro le esperienze in rapporto al modo in cui esse possono agevolare o
ostacolare le esigenze dell’organismo, in base a quello che Rogers chiama una
valutazione organismica. Se i genitori assicurano amore, stima, sicurezza,
considerazione in modo incondizionato, accettando anche aspetti negativi del
bambino, il suo concetto di sé si plasmerà sull’esperienza in modo libero e
autonomo, le esperienze saranno vissute conformi rispetto al concetto di sé e
ai bisogni organismici. La tendenza attualizzante guiderà il bambino e poi
l’adulto fino alla piena autorealizzazione. Se la considerazione positiva viene
data in modo condizionato, il bambino introietterà valori, mete, modi di essere
incongruenti con la propria esperienza organismica. A causa di questi
condizionamenti, il concetto di sé viene sviluppato su basi esterne e rigide e
le esperienze verranno selezionate o distorte affinché si possa mantenere la
coerenza del sé che si è formato. Le esperienze personali non fluiranno più liberamente
in accordo con l’organismo e con la tendenza attualizzante. Quando la frattura
tra il concetto di sé e l’esperienza è troppo grande e le difese non svolgono
più la loro funzione di protezione, nasce uno stato di incoerenza nel sé e
comincia il disagio. Sarà compito del Counselor attraverso
l’accettazione positiva incondizionata che il cliente non ha ricevuto, innescare
un processo di autoconsapevolezza e di integrazione tra il sé e l’esperienza,
che porti la persona a divenire consapevole della propria condizione, dei
propri stati d’animo e dei propri bisogni; dall'altra favorire la riattivazione
della "tendenza attualizzante.
La terapia centrata sul cliente si basa su alcuni principi
fondamentali:
·
Le persone possono essere capite solamente partendo dalle loro
percezioni e dai loro sentimenti, ossia dal loro mondo fenomenologico.
Per capire un individuo dobbiamo concentrare la nostra attenzione non sugli
eventi che egli esperisce ma sul modo in cui li esperisce, perché il mondo
fenomenologico di ogni persona è la determinante principale del suo
comportamento e ciò che la rende unica.
·
Le persone sono consapevoli del loro comportamento.
In questo senso il sistema di Rogers è simile a quello della psicanalisi e
dell'analisi dell'Io, poiché pone la consapevolezza delle motivazioni tra i
suoi obiettivi principali.
·
Le persone sono per loro natura buone e capaci di comportarsi in
maniera efficace; esse diventano inefficaci e disturbate
solamente quando interviene un apprendimento errato.
·
Le persone sono capaci di comportamenti finalizzati e sanno darsi
degli obiettivi. Esse non rispondono passivamente
all'influenza dell'ambiente o alle proprie pulsioni interiori, e sono in grado
di compiere scelte autonome.
Il
Counselor non dovrebbe cercare di manipolare gli eventi per conto del cliente;
piuttosto dovrebbe creare le condizioni in grado di facilitare
un processo decisionale autonomo da parte sua. Quando le persone non si
preoccupano eccessivamente delle valutazioni, delle esigenze e delle preferenze
altrui, la loro esistenza risulta guidata da una tendenza innata
all'autorealizzazione.
Sulla
base del presupposto che una persona matura e bene adattata fonda i suoi
giudizi su elementi intrinseci di soddisfacimento e autorealizzazione, Rogers evitava di imporre obiettivi al cliente
durante la terapia. Tale approccio è definito “non
direttivo”.Secondo Rogers è il cliente che deve "prendere il
comando" e dirigere l'andamento della conversazione e della seduta. Il
compito del Counselor è quello di creare le condizioni per cui durante la
seduta il cliente possa entrare in contatto con la sua natura più profonda e
valutare da solo quale stile di vita è per lui intrinsecamente gratificante.
Poiché aveva un visione molto positiva delle persone, Carl Rogers riteneva che attraverso
l'esercizio di decisioni autonome esse sarebbero riuscite non solo ad essere
soddisfatte di se stesse, ma anche a diventare delle persone capaci di
instaurare relazioni socialmente adeguate.
Secondo Rogers e gli esponenti del filone
umanistico ed esistenziale, la persona deve assumersi la responsabilità della
propria vita . È spesso difficile per un Counselor astenersi
dal dare consigli, dal farsi carico dell'esistenza del cliente,
specialmente quando tale cliente appare incapace di prendere decisioni
autonome. Ma i rogersiani si attengono strettamente alla regola secondo cui, un'atmosfera terapeutica calda, sollecita l'innata
capacità di crescita e di autorealizzazione dell'individuo . Essi ritengono
che se lo specialista interviene , il processo di crescita e di
autorealizzazione ne risulterà solo ostacolato, e che qualunque sollievo a breve
termine possa interferirà con la crescita a lungo termine del cliente.
In
definitiva il colloquio clinico è un incontro in cui al centro c’è la persona
con ciò che mette in gioco di sé, con ciò che vuole migliorare della sua vita,
con i suoi bisogni espliciti e quelli non detti.
La
persona che arriva in consulenza, ha già riconosciuto di avere un problema da
risolvere e di avere la necessità di essere aiutata per trovare la propria
soluzione personale alla questione. Ciò significa che di fronte allo stesso
problema ci possono essere soluzioni diverse, dipendenti dalla personalità,
dalle circostanze e dalle risorse interne del cliente.
Tecniche di counseling
Ogni
Counselor ha un proprio stile, e nel rispetto del codice deontologico può
utilizzare diverse tecniche o approcci in base sia alla sua formazione teorica
sia alla sua esperienza di vita.
Ogni
cliente è diverso, perché ogni individuo è unico ed irripetibile pertanto il
bravo Counselor è capace di trovare ascolto, comunicazione e stile diverso per
ogni cliente.
Il
Counselor durante la sua formazione triennale acquisirà le competenze per
potere approcciare ad un quesito espresso dal cliente con diverse tecniche dal
momento che non può affrontare le diverse situazioni con uno schema fisso e
prestabilito, ma deve implementare strategie diverse in base alla reale e
concreta situazione che ha di fronte; il processo d’intervento si deve plasmare
alle caratteristiche dell’essere umano sofferente a cui occorre proporre una
direzione per affrontare il suo malessere soggettivo. Pertanto il Counselor
potrà fare ricorso nel percorso all’ausilio di tecniche apprese dalla corrente
umanistica-esistenziale, dall’analisi transazionale di Berne, dalla logoterapia
di Frankl, dalla Gestalt di Perls, dal cognitivismo di Ellis e Beck.
Alcune
di queste correnti verranno approfondite successivamente, particolarmente
quelle che hanno un’implicazione nel counseling medico dove assume grande
importanza il senso e il significato dato a tematiche dell’esistenza quali:
senso e significato della sofferenza , della morte e della vita.
Etica e
deontologia professionale per un counselor.
Qualsiasi professione
che abbia a che fare con i rapporti tra le persone necessita di un codice di
condotta. Il Counseling, al pari della psicoterapia, si configura come una
relazione d’aiuto complessa e delicata, che impone la necessità di proteggere
la relazione stessa con norme precise valide sia per il professionista che per il
suo cliente. La deontologia risulta dunque
essere l’insieme dei diritti/ doveri che impone ai professionisti l’esercizio
della loro professione.
Articolo 1 Premessa
1. Il Codice Deontologico
rappresenta, per ogni socio, un insieme di indicatori di autoregolamentazione,
di identificazione e di appartenenza.
2. II Codice
Deontologico ha lo scopo di precisare l'etica professionale e le norme a cui il
Counselor deve attenersi nell'esercizio
della propria professione.
3. Costituisce illecito
deontologico qualunque comportamento contrario
alla dignità della professione, qualunque violazione
al codice penale.
4. Le norme
deontologiche indicate nel presente codice sono di natura vincolante: la loro
inosservanza sarà verificata e valutata dal Comitato Disciplinare Counseling.
Articolo 2 Principi generali
1. Il Counselor fonda la propria professione sui principi
etici dell’accoglienza e del rispetto, dell’autenticità e della congruenza,
della gentilezza e dell’ascolto, della responsabilità e della competenza.
2. L’attitudine del
Counselor è basata sul rispetto per i diritti umani e sull’accettazione delle
differenze personali e culturali. Egli è professionalmente libero di non
collaborare verso obiettivi che contrastino con le proprie convinzioni etiche.
3. Il Counselor è tenuto ad operare nel proprio
ambito di competenza professionale, a monitorare la propria formazione
attraverso un aggiornamento permanente ed il ricorso alla supervisione.
4. Il Counselor è responsabile dei propri atti professionali.
E’ tenuto ad uniformare la propria condotta ai principi del decoro e della
dignità professionale.
5. Il Counselor
considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle
per promuovere il benessere dell’individuo, del gruppo e della comunità.
6. Il Counselor tratta con riservatezza tutte le informazioni
dei clienti. E’ strettamente tenuto al segreto professionale, salvo per i casi
previsti dalla legge in vigore.
7. Il Counselor agisce
in conformità e nel pieno rispetto delle leggi vigenti.
Articolo 3 Rapporti con il
cliente
1. Il Counselor fornisce al cliente informazioni adeguate sui
confini deontologici della sua professione,
le finalità, gli assunti teorici e metodologici.
2. Il Counselor concorda
con il cliente gli obiettivi, i tempi e il compenso economico; ne favorisce
l’autonomia, rispettando la sua capacità di prendere decisioni e di operare
cambiamenti.
3. In ogni contesto professionale, il counselor deve adoperarsi
affinché sia rispettata la libertà di
scelta, da parte del cliente, del professionista a cui rivolgersi.
4. Il Counselor prende
tutti i provvedimenti necessari ad assicurare che il cliente non subisca danni
fisici o psicologici durante la consulenza.
5. Il Counselor evita
commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire
con l’attività professionale o che possano recare danno all’immagine sociale
della professione.
6. Costituisce illecito
deontologico sfruttare il cliente da un punto di vista finanziario,sessuale,
emotivo od in qualunque altro modo.
7. Il Counselor è tenuto a garantire al cliente la piena
libertà di concedere, di rifiutare o di ritirare il consenso alla
diffusione in forma anonima del percorso
realizzato.
8. Il Counselor deve
mantenere la riservatezza sulle prestazioni professionali oltre che per i
contenuti anche relativamente alla prestazione stessa.
9. Il Counselor è sempre
tenuto al segreto professionale anche in caso di morte o di minori a meno che
quest’ultimo viva una situazione di pericolo o di sfruttamento.
Articolo 4 Rapporto con colleghi
1. I rapporti tra i
Counselor devono ispirarsi ai principi del rispetto reciproco, della lealtà e
della colleganza, della corresponsabilità e dell’armonia.
2. Il Counselor promuove e favorisce rapporti di scambio e
collaborazione. Si impegna a comunicare alla comunità professionale i progressi
delle sue conoscenze, dei suoi metodi e
delle sue tecniche.
3. Può avvalersi dei
contributi di altri specialisti, con i
quali realizza opportunità di
integrazione e valorizzazione delle reciproche competenze.
4. Il Counselor si
astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi negativi relativi alla loro
formazione, alla loro competenza ed ai risultati conseguiti a seguito di
interventi professionali, o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro
reputazione professionale.
5.Costituisce aggravante
il fatto che tali giudizi negativi siano volti a sottrarre clientela ai
colleghi.
6.Qualora ravvisi casi
di scorretta condotta professionale che possano tradursi in danno per gli
utenti o per il decoro della professione, il Counselor è tenuto a darne
tempestiva comunicazione al responsabile deontologico
7. E’ eticamente e
deontologicamente corretto informare il Responsabile Etico Disciplinare
Counseling di condotte lesive della
dignità di appartenenza alla professione Counselor.
Articolo 5 La professione
1. Il Counselor conosce
le caratteristiche fondanti della propria professione e apporta il proprio contributo
professionale nella relazione con altre professioni e professionisti, facendo
ad esse riferimento.
2. Il Counselor è a
conoscenza del fatto che esistono norme giuridiche che attribuiscono ad altre
professioni, attività riservate. Il Counselor è tenuto a conoscere il contenuto
delle principali norme, nel caso in cui collabori con tali professionisti.
Qualora si trovasse in condizioni di incertezza è tenuto ad informarsi e,
preventivamente, ad astenersi per non contravvenire a tali norme.
3. Il Counselor
contrasta l’esercizio abusivo delle professioni regolamentate ed utilizza il proprio titolo professionale per
attività ad esso pertinenti, e non avalla con esso attività ingannevoli od
abusive.
Articolo 6 Sanzioni
1. Il responsabile
deontologico valuta le segnalazioni pervenute e dispone l’avvio di un
procedimento disciplinare o l’archiviazione
a seguito di una istruttoria preliminare. La segreteria operativa, dopo
aver ascoltato il collega ed eventuali testimoni, dispone la sanzione
disciplinare nei termini dell’ avvertimento, di una nota di biasimo, della
sospensione e della radiazione.
Il setting nel counseling
Il
setting è l'insieme delle regole, la dimensione spazio-temporale che delinea luoghi, tempi, modalità della relazione.
Il
setting è, infatti, costituito dal set (ovvero
dall’ambiente fisico e funzionale all’interno del quale ha luogo la relazione),
dalle regole organizzative del “contratto”
(orario, durata e pagamento delle sedute), e dalle regole
relazionali e comunicative che mediano il rapporto tra il counselor ed
il cliente.
Il setting esterno, inteso come “ambiente”
in cui si svolgono gli incontri, deve essere un setting protettivo. In genere
il counselor incontra il cliente, dopo un breve colloquio telefonico, presso
uno studio professionale ,quindi un luogo riservato e chiuso, sufficientemente luminoso;
attenzione va posta alla disposizione della stanza, dei mobili,alla
essenzialità degli oggetti presenti affinchè non siano dispersivi, ma
facilitanti, alla comodità delle sedie, che non devono essere scomode, nè
eccessivamente rilassanti, perché il loro scopo è di facilitare un lavoro, non
un riposo.
Nessuno
deve poter entrare e disturbare, non c’è nulla che può interrompere quello che sta
accadendo: ogni incontro è un incontro speciale, sacro.
Se
nella psicoterapia il setting può
prevedere l’uso del lettino ed il terapeuta, secondo l’impostazione freudiana è
di spalle al paziente, nel Counseling il Counselor e cliente devono potersi guardare
negli occhi. Poiché centrale nel Counseling è la relazione empatica, l’ascolto,
il riconoscimento ed il set deve agevolare il contatto emotivo. È quindi
importante che Counselor e cliente siano seduti uno di fronte all’altro senza
oggetti fisici in mezzo che ostacolino il contatto. Sarebbe per questo motivo
buona pratica evitare l’utilizzo di un tavolo o una scrivania che rendono
difficile la vicinanza e la vera intimità.
Per
quanto riguarda il setting interno od emotivo,
il setting di psicoterapia connette l’interpersonale con l’intrapsichico e
collega il qui ed ora con il là ed allora. Ci si occupa prevalentemente del
cambiamento dell’individuo a livello psicologico inconscio, avendo come focus
principale una ristrutturazione profonda della personalità. Il setting di Counseling
si occupa dell’interpersonale e del qui ed ora, avendo come focus principale il
cambiamento individuale a livello sociale. Data la diversità del setting
emotivo, esiste anche una diversità della durata della relazione: il tempo
necessario è evidentemente più lungo nel caso di una terapia.
Il
setting è formato anche dal contratto che riguarda i tempi e
le regole di intervento. Il
contratto viene stipulato, in genere, al termine del primo incontro, tra il counselor
e il cliente che si accordano sulle finalità e sui metodi per il raggiungimento
degli obiettivi .
Il
contratto, traccia i confini dell’intervento terapeutico. Gli elementi del
contratto sono:
1. Accoglienza,
presentazione iniziale, consenso al trattamento dei dati personali e
registrazione dei dati anagrafici di base
2. Definizione del
rapporto professionale (durata, frequenza, pagamento, spostamento degli
incontri, ritardi, prevedibile durata del percorso). Consenso informato. La
durata di un colloquio individuale di counseling, generalmente è 45 min-1 ora.
Appartengono inoltre alle modalità del setting tutti gli aspetti economici, di
impegno reciproco nella puntualità, la riservatezza del segreto professionale a
protezione della relazione e del processo di cura dell’altro.
3. Proposta di un
piano di intervento: definizione degli obiettivi e delle strategie. Nel
primo colloquio si cerca di delimitare il problema, facendo emergere la
richiesta esplicita e la domanda implicita del cliente e verificando la sua
disponibilità a sperimentare nuove strategie comportamentali. Se è possibile si
preferisce definire obiettivi a breve , medio e lungo termine, verso cui
muoversi insieme al cliente, definendo i tempi di una prima serie di colloqui
che attivano il cambiamento. Quando necessario, e richiesto dal cliente, a
questa prima serie di colloqui, ne segue una seconda, più breve di
consolidamento dei traguardi raggiunti e approfondimento di problematiche
lasciate in sospeso.
La
definizione delle tecniche comporta la spiegazione del percorso al cliente che
si intende intraprendere per raggiungere gli obiettivi. Diverse sono, infatti,
le tecniche di cui può avvalersi il Counselor in relazione ad ogni singolo
problema esposto dal cliente. Pertanto l’operatore dovrà avere una approfondita conoscenza delle tecniche
disponibili, e una buona dose di intuitività e competenza per scegliere di
volta in volta l’approccio più giusto rispettando la sensibilità del cliente.
La
relazione professionale termina con il raggiungimento degli obiettivi e la
conclusione del contratto. Ma alcune responsabilità professionali continuano
anche dopo il termine del contratto. Esse sono:
·
Mantenere un alto grado di riservatezza.
·
Evitare ogni forma di uso della relazione per
scopi diversi da quelli originari.
·
Essere disponibili per eventuali bisogni
successivi.
Giuramento di Ippocrate
Giuro
per Apollo medico e per Asclepio e per Igea e per Panacea e per tutti gli Dei e
le Dee, chiamandoli a testimoni che adempirò secondo le mie forze e il mio
giudizio questo giuramento e questo patto scritto. Terrò chi mi ha insegnato
quest’arte in conto di genitore e dividerò con Lui i miei beni, e se avrà
bisogno lo metterò a parte dei miei averi in cambio del debito contratto con
Lui, e considerò i suoi figli come fratelli, e insegnerò loro quest'arte se
vorranno apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti. Metterò a
parte dei precetti e degli insegnamenti orali e di tutto ciò che ho appreso i
miei figli del mio maestro e i discepoli che avranno sottoscritto il patto e
prestato il giuramento medico e nessun altro. Sceglierò il regime per il bene
dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno
e offesa. Non somministrerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco
mortale, e non prenderò mai un’iniziativa del genere; e neppure fornirò mai a
una donna un mezzo per procurare l'aborto. Conserverò pia e pura la mia vita e
la mia arte. Non opererò neppure chi soffre di mal della pietra, ma cederò il
posto a chi è esperto di questa pratica. In tutte le case che visiterò entrerò
per il bene dei malati, astenendomi ad ogni offesa e da ogni danno volontario,
e soprattutto da atti sessuali sul corpo delle donne e degli uomini, sia liberi
che schiavi. Tutto ciò ch'io vedrò e ascolterò nell'esercizio della mia
professione, o anche al di fuori della professione nei miei contatti con gli
uomini, e che non deve essere riferito ad altri, lo tacerò considerando la cosa
segreta. Se adempirò a questo giuramento e non lo tradirò, possa io godere dei
frutti della vita e dell’arte, stimato in perpetuo da tutti gli uomini; se lo
trasgredirò e spergiurerò, possa toccarmi tutto il contrario.
Consapevole
dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che
assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio
e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la
tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza,
cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e
sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a
provocare deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi alla mia
attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel
rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze; di
prestare la mia opera con diligenza, perizia, e prudenza secondo scienza e
coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l'esercizio della
medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della
mia professione; di affidare la mia reputazione esclusivamente alla mia
capacità professionale ed alle mie doti morali; di evitare, anche al di fuori
dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il
prestigio e la dignità della professione. Di rispettare i colleghi anche in
caso di contrasto di opinioni; di curare tutti i miei pazienti con eguale
scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e
prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione
sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d’urgenza a qualsiasi
infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità a
disposizione dell'Autorità competente; di rispettare e facilitare in ogni caso
il diritto del malato alla libera scelta del suo medico, tenuto conto che il
rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul
reciproco rispetto; di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato,
che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione
o in ragione del mio stato; di astenermi dall’"accanimento"
diagnostico e terapeutico.
ppocrate, padre della medicina occidentale, considerava il
rapporto tra medico e paziente improntato sulla philia (amicizia) e sull’agape
(affetto). Dallo atro agathos (vale
a dire dal buon medico) ci si aspettava la tecnophilia,
amore per l’arte medica e la philantropia,
amore per l’uomo.
Questa impostazione armonizzava un rapporto asimmetrico. Al
potere e al sapere del terapeuta corrispondeva infatti la dipendenza passiva
del malato.
Il giuramento di Ippocrate e l’alleanza tra individui con
ruoli diversi non costituirono l’unica forma di rapporto medico paziente nel
mondo greco e romano. Jori ha esaminato (“Medicina e medici dell’antica
Grecia”, ed. Il Mulino, 1996 ) il testo Ippocratico “Perì tèchnes” (Sull’ arte
medica), uno dei settantadue volumi che costituiscono il “corpus Hipocratycum”.
Dal suo saggio emerge un dato significativo: molti esponenti dell’arte
sanitaria ritenevano il sapere scientifico estraneo al contributo del paziente
ed erano refrattari a stabilire con lui un rapporto umano fondato sull’empatia
sull’ascolto e sul dialogo. La storia personale del malato non li influenzava,
non li coinvolgeva. Per loro il rapporto si basava sulla sordità, sul silenzio,
sulla gestione esclusiva da parte del medico di un sapere concluso,
formalizzato, “elitario”.
Per Ippocrate il dovere del medico è fare il bene del
paziente: compito del malato è accettarne l’operato. Un
rapporto paternalistico,
nel cui ambito la responsabilità morale del professionista, depositario delle
conoscenze tecniche, risiede nella certezza di operare per il bene degli altri.
Il medico greco era considerato, grazie alle conoscenze tecniche un “demiurgo”,
un mediatore tra uomo e divinità. Concezione “alta” che comportava privilegi,
autorità morale, impunità giuridica. Ci troviamo di fronte ad un modello di
medicina che riflette in parte la vita e la società della polis greca fondata
sull’ordine, sulla tradizione e sull’obbedienza a leggi considerate universali.
La contrapposizione tra stili professionali così lontani
avrebbe incontrato una proposta di conciliazione nelle tesi di Galeno,
tardo erede di Ippocrate, che secoli dopo la morte del maestro di Kos tracciò
il profilo del medicus gratiosus, bene
accetto al malato, compassionevole, amabile, attento alle sue esigenze fisiche
e psicologiche. Galeno delineò i modi e le forme che avrebbero fatto del medico
una figura “autorevole”. Doveva essere elegante ma sobrio, capace di modulare
il suo comportamento sulle esigenze e sulle preferenze dichiarate o intuite del
suo interlocutore fragile, bisognoso di cure e di attenzione.
Ma nonostante questi nuovi concetti, per secoli le regole
del rapporto guaritore-malato si sono basate sul giuramento di Ippocrate, cui
dobbiamo anche il concetto di segreto professionale. L'etica ippocratica
riflette l'ideale del medico filantropo al servizio di tutti, al di sopra delle
divisioni religiose, politiche, culturali, sociali ed economiche.
Fino al medioevo il medico è
stato considerato un “sacerdote della salute”. L’unica persona in grado di
preservare il dono supremo di Dio: la vita.
Se analizziamo questa relazione attraverso l’analisi transazionale
di Eric Berne, il rapporto medico-paziente può essere considerato una diade
verticale in cui il medico si trova sempre in uno stato dell’Io
genitore, ed il paziente è sempre in uno stato dell’Io bambino.
Medico (genitore)
Paziente (bambino)
Successivamente il mondo
latino, arabo, il medioevo, definito a torto dagli ignoranti periodo buio,
limitato, e regressivo determinarono una graduale evoluzione delle conoscenze
scientifiche culminate nell’apogeo dell’illuminismo e nei successivi sviluppi
che hanno delineato lo scenario in cui viviamo. Le rivoluzioni
politico-religiose del sedicesimo secolo e le pubblicazioni innovative di
pensatori come l’inglese Locke e il tedesco Kant avrebbero convertito molto
lentamente la sudditanza del paziente in rispetto
reciproco: per entrambi i filosofi, ciascuno di noi è in grado di
servirsi della propria ragione, e’ una persona autonoma, indipendente. Pertanto
si delinea il principio di autonomia del paziente: oltre che una realtà fisica
l’essere umano possiede anche una dimensione morale che gli permette di avere
completa libertà di agire e di disporre della sua persona secondo la sua
volontà. Da questo momento il ruolo del paziente non è più passivo e dipendente
al volere del medico ma acquisisce un ruolo attivo nella scelta terapeutica.
Pertanto sarebbe auspicabile
una comunicazione medico paziente che alla luce dell’analisi transazionale, non
sia più una diade verticale tra uno stato dell’IO adulto .e uno stato dell’IO
bambino ma una diade orizzontale tra due stati dell’IO adulto.
Uno dei primi documenti che
associa il principio di autonomia al rapporto medico-paziente e delinea anche
il concetto di consenso informato è il Codice di Norimberga nel 1946 sancito
poi dall’art. 32 e dall’art. 34 della
Costituzione.
Questi
principi e le norme sul consenso informato, diffusi in Italia, intorno agli
anni 70, se da un lato hanno permesso un cambiamento nel rapporto paternalistico
tra medico e paziente, e hanno dato un ruolo attivo al paziente, dall’altro
hanno reso ancora più difficile il rapporto umano tra queste due figure.
Infatti il medico, per difendersi dagli attacchi legali dei pazienti, ha creato
vere e proprie barriere nella comunicazione attenendosi solo alle regole. Negli
USA, in caso di cancro, immediatamente il medico deve comunicarlo al paziente
altrimenti può incorrere in una causa penale, non è tenuto a comunicarlo ai
familiari in modo che fungano da ponte tra il paziente e il medico. Ciò ha
determinato, ancor di più una perdita di umanità da parte del medico, attento
in ogni momento a non avere problemi. Tuttavia, solo il superamento di questa
visione difensiva della medicina, potrà permettere di raggiungere un’alleanza
terapeutica, attraverso un processo di comunicazione solidale tra medico e
paziente.
Il distacco
tra il medico ed il paziente si è ulteriormente accentuato con il progredire
della tecnologia e della conoscenza. Negli atenei si insegna troppo
la tecnica e poco l’umanità. Il medico deve imparare a
pensare come un malato. Bisogna avere l’umiltà di imparare da chi
soffre.
In
molte parti del mondo la conquista di una relazione paritetica tra medico e
malato e’ ancora utopia, ma nei singoli casi in cui si attua una comunicazione
efficace basata sull’umanità e l’empatia, essa stessa è la chiave che avvia
insieme alla conoscenza dell’arte medica, il processo di guarigione
dell’individuo.
È
importante che al centro del sistema ritorni il paziente nella sua totalità in
quanto persona e non in quanto esclusivamente persona malata.
Nel
tunnel della sofferenza, accidente irriducibile del vivere, sgorga spontanea
nel malato la domanda: perché il medico, oltre che cercare di risolvere
tecnicamente i miei mali, e gliene sono grato, non si prende anche “cura
di me” e della mia sofferenza psichica e morale?
L’empatia,
l’umanità, la congruenza, e l’accettazione positiva incondizionata dell’altro,
la ricerca del senso e del significato della sofferenza sono la base del
counseling, per cui un medico che è anche un counselor potrà riuscire più facilmente ad avere un
rapporto quasi alla pari con un paziente e sarà agevolato nella comunicazione e
nello stabilire una buona alleanza terapeutica con quest’ultimo.
Gli Stati dell’IO e l’Analisi Transazionale di
Eric Berne
L’Analisi Transazionale (AT) è
un indirizzo psicologico nato negli anni ’50 ad opera dello psicoterapeuta Eric
Berne. Ma soprattutto si tratta
di una concezione dell'essere umano che
nasce da una filosofia positiva in cui ogni persona è
fondamentalmente O.K.
Il nome deriva dal termine "transazione" che significa
"scambio"che si verifica tra due individui che comunicano. Berne ha
posto molta attenzione alla natura degli scambi di comunicazione tra le persone
(dunque alle "transazioni") quali indicatori di elementi sottostanti
e più profondi della personalità. Ogni transazione si compone di due parti: lo
stimolo e la risposta. Le singole transazioni normalmente fanno parte di una
serie. Alcune di queste serie o sequenze di transazioni possono essere dirette,
produttive, sane; oppure possono essere ambigue, distruttive, malsane
Infatti nell'affrontare
determinate situazioni, le persone, tendono a ripetere un "copione", ovvero le esperienze vissute
nell'infanzia, e utilizzano strategie operative, che possono rivelarsi
auto-lesioniste o dolorose perché tendono a seguire le strade già tracciate per
sentirsi più sicuri, limitando la possibilità di un pensiero divergente che
riesca a trovare soluzioni a problemi vecchi e nuovi.
L'Analisi Transazionale e'
quindi una corrente che studia l'individuo all'interno dell'ambiente in cui
vive, attraverso i comportamenti che manifesta. Lo scopo di questa “teoria della personalità” e' quello di indagare i
comportamenti dei soggetti in relazione, comprendere le motivazioni per cui a
volte si sente disagio ed individuare quali siano le modalità più opportune per
evitare il disagio e vivere, il più possibile, in armonia.
Per raggiungere questi
obiettivi, l'Analisi Transazionale, scompone la struttura della personalità in
tre elementi distinti : gli .stati dell'Io. L'Io
è il nucleo della nostra identità psicologica e in quanto tale ci permette di
auto-riconoscerci e farci riconoscere
Gli stati dell’IO sono modi di
essere nel mondo. Più concretamente sono insiemi uniformi e coerenti di
pensieri, emozioni e comportamenti organizzati in modo coerente tra loro, che
rispecchiano le esperienze del passato e del presente dell’individuo.
Uno stato dell’Io viene
definito da Berne come “un sistema di sentimenti
accompagnati da un relativo insieme di tipi di comportamento”:
osservando pertanto il comportamento della persona che agisce possiamo
individuare lo stato dell’Io che ha generato tali atteggiamenti
.La personalità è
caratterizzata da 3 Stati dell’Io: Il Genitore, l’Adulto e il Bambino . L’
individuo quando interagisce, lo fa con
uno dei tre diversi stati
dell’Io.
Il
Genitore è una registrazione, fedele e
incancellabile, di ciò che è Stato detto e fatto dai genitori, dai fratelli e
dalle sorelle maggiori, dalle figure autorevoli dell’infanzia e, a volte,
perfino dalla televisione.
Vi sono racchiusi consigli,
imposizioni, il giusto e lo sbagliato, i rimproveri, le carezze. Poiché
provengono da figure essenziali per la crescita, esse non sono soggette a
valutazione critica:
“Così si fa”. Tali informazioni,
però, benché importanti quando furono archiviate, nella vita adulta si possono
mettere in discussione, per sostituirle con altre più aggiornate. Ed è qui che
entra in scena l’Adulto, il computer di bordo.
L’Adulto raccoglie,
cataloga, valuta e decide il comportamento più indicato, in risposta al “qui e
ora”, accerta la validità dei dati, aggiornandoli continuamente grazie
all’esperienza. Si forma intorno ai sei anni, cioè il periodo che coincide con
la crescita sociale dell’individuo.
Esempio: nel Bambino ci può essere
il divieto di avvicinarsi ai fornelli, perché è pericoloso (informazione del
Genitore). Tale divieto può essere rimosso in seguito, quando si cresce. Così,
l’Adulto archivia l’informazione perché riguardava una situazione che è
cambiata.
L’Adulto decide (o dovrebbe
decidere) l’atteggiamento da tenere in base al contesto, lo Stato dell’Io da
far affiorare nei vari momenti; difatti, a volte è necessaria la fermezza del
Genitore, altre volte ancora c’è bisogno della spontaneità del Bambino, oppure
si deve valutare criticamente la realtà. La nostra serenità interiore, e di
conseguenza il rapporto che abbiamo con l’ambiente esterno, dipendono dallo
sviluppo equilibrato dei tre Stati dell’Io.
Il Bambino è lo Stato dell’Io che ci appartiene dalla nascita, rappresenta la
nostra parte infantile.
Si può immaginare come un
archivio, in cui risiede l’infanzia che abbiamo vissuto, con le
caratteristiche, i ricordi, le sensazioni, sia positive sia negative, e tutti i
comportamenti collegati. Esso è pertanto la sede dei bisogni , degli
atteggiamenti e dei comportamenti della nostra infanzia, legati alle esigenze
psicobiologiche più profonde. La soddisfazione o l’insoddisfazione verso un
oggetto, introiettata e memorizzata come valore positivo o negativo,
determinerà il prodotto della vita sentita che potrà esplicitarsi in creatività
e fantasia, o, di contro, in frustrazione e senso di colpa. Lo stato dell’Io
Bambino viene formandosi dagli 0 ai 5 anni di vita. Nel Bambino ci sono tutte
le disposizioni:
·
impulso ad agire
·
capacità di godere
·
creatività
·
curiosità
·
emozioni e loro
espressione
·
invidia-gelosia
·
manipolazione

Una personalità sana ha bisogno di tutti e 3 gli
Stati dell’Io.
Hai bisogno dello Stato dell’Io
A per la soluzione dei problemi del qui ed ora, esso ti permette di affrontare
la vita in modo efficace e competente. Per adeguarti bene alla società hai
bisogno delle regole che hai imparato e immagazzinato nello Stato dell’Io G.
Infine hai bisogno di accedere, tramite lo Stato dell’Io B, alla spontaneità,
alla creatività e alla capacità intuitiva proprie dell’infanzia.
Il diagramma degli Stati
dell’Io è raffigurato con tre cerchi, uno sull’altro: il Genitore in alto,
l’Adulto al centro, Il Bambino in basso. Da questo modello prende nome la teoria del GAB. Essi consentono
una percezione unitaria della persona, poiché non si escludono, ma vengono
piuttosto a legittimare tre diversi “stili” di sentimenti, affettività e
comportamenti da utilizzare nelle diverse situazioni del quotidiano, così da
permettere il fluire di percezioni e atteggiamenti, determinati dagli
innumerevoli stimoli esterni ed interni.
Il Genitore l’ Adulto e il
Bambino, si suddividono ulteriormente : Il Genitore si scinde in Affettivo e
Normativo, il Bambino in Adattato e Ribelle. L’adulto non è suddiviso. Stephen
Karpmann ha evidenziato in ogni stato dell’Io aspetti positivi e aspetti
negativi.
Il Genitore Affettivo registra tutto quello che
fecero e dissero i genitori, o chi per loro, quando si prendevano cura di noi:
ad esempio carezze, comportamenti protettivi, rimproveri.
Determina il comportamento verso i figli e si
divide in positivo e negativo.
Il Genitore Affettivo positivo
comprende i comportamenti che proteggono e sviluppano il benessere altrui,
senza prevaricazioni ed imposizioni. Il tono di voce è dolce, i gesti sono
attenti e rispettosi. Le parole indicano comprensione e affetto. I messaggi
sono di fare piuttosto che di non fare. Il prendersi cura degli altri deriva
da un autentico rispetto per la persona aiutata. Ad esempio, la mamma che aiuta
il figlio nei compiti a casa.
Il Genitore Affettivo negativo
raggruppa i comportamenti che derivano dalla poca considerazione della persona
da aiutare, tende infatti ad essere iperprotettivo. si
sostituisce agli altri facendo le cose al posto loro quando non gli è richiesto
e non è necessario frenando perciò lo sviluppo di colui che intende aiutare Il
padre ansioso che telefona al figlio ogni mezz’ora, un collega che toglie un
progetto di mano dicendo: “Dai qua, ci penso Io”.
Il Genitore Normativo racchiude l’insieme di
regole, leggi e comportamenti da tenere nella vita e con gli altri. Raccoglie
le informazioni necessarie alla crescita: queste possono andare dal “come si
attraversa la strada” a come, in generale, s’apprende a stare al mondo.
Si tratta di un archivio ricchissimo di esempi
dei genitori, di proverbi e saperi tramandati di generazione in generazione.
Poiché le informazioni sono datate, non sono tutte necessariamente utili o
aggiornate, e può capitare che non siano coerenti.
Si consideri il caso in cui una madre dice ai
figli di essere gentili con i vicini, salvo poi trattarli con arroganza ella
stessa: questa informazione crea confusione, perciò viene ignorata.
Il Genitore Normativo
positivo, utilizza le regole per promuovere la crescita e il
benessere dell’individuo. Si può immaginare un fratello maggiore che, con
pazienza, insegni al minore ad andare in bicicletta.”
Il Genitore Normativo
negativo
parte da una visione del mondo ristretta e pessimista, che sminuisce le
capacità altrui e spesso ricorre al sarcasmo. Un direttore d’azienda che
rifiuta a priori tutte le proposte di innovazione dei propri dipendenti si
trova nello Stato di Genitore Normativo.
Il Bambino Libero simboleggia l’istinto e la spontaneità degli Stati dell’Io.
Si tratta della parte più “antica” della nostra
personalità (compresa appunto nell’Archeopsiche), e comprende le
caratteristiche positive e negative dei bambini: ad esempio, fantasia,
allegria, spensieratezza, volubilità, egoismo.
Anche il Bambino Libero si scinde in positivo o
negativo.
Il Bambino Libero positivo è
felice, simpatico, pieno di inventiva, semplice, spontaneo. Secondo Berne il
bambino libero positivo racchiude altre immense risorse e capacità come
l’intuito e la creatività: egli attribuisce a questa parte il nome di “Piccolo Professore” (PP).
Il PP funziona come un radar, conferendogli la
capacità di avvertire e di captare quelle sfumature di segnali che ci fanno
“sentire” le situazioni e le persone al di là delle nostre facoltà e percezioni
sensitive-sensoriali; significa capire e conoscere qualcuno e qualcosa guidati
dal nostro “Sesto Senso”, quello cioè dell’intuizione e dell’istinto. Grazie
alle capacità creative del nostro PP, possiamo anche inventarci auto
rassicuranti fantasie che ci permettono di sopportare meglio una situazione
stressante e dolorosa.
Il Bambino Libero negativo può
comprendere l’impulsività, i capricci, la scarsa concentrazione; può
danneggiare se stesso e gli altri non tenendo conto della realtà.
Es.: “Facciamo una corsa!” (su una strada pericolosa
alterati dall’alcool)
Eric Berne sostiene che la maggior parte degli
adulti si trova spesso nello Stato di Bambino Adattato.
Nella situazione originaria, il Bambino è il
destinatario dei messaggi che provengono dal Genitore. In questo caso, il Bambino Adattato è un risultato delle regole imposte dal
Genitore Normativo.
Si definisce Adattato perché implica un
confronto, una mediazione tra le esigenze interne e quelle esterne, tra i
comportamenti appresi e quelli istintivi.
Il Bambino Adattato è l’insieme delle reazioni
alle imposizioni del Genitore Normativo: in base all’accettazione o meno di
queste imposizioni, esso può essere positivo o negativo.
Il Bambino Adattato positivo ha
accolto le regole, le ha interiorizzate, le ha trovate coerenti e utili; acquisisce
ed utilizza automaticamente quei comportamenti che gli permettono di
raggiungere i suoi scopi, ottiene quello che vuole senza disagio per sé e per
gli altri, e risparmia un bel po’ di energia mentale.
Ad esempio, il bambino che in famiglia legge la
poesia di Natale e riceve gli applausi, o, da adulti, il saper stare a tavola
ad un pranzo importante. Il soldato che saluta l’ufficiale, così da non essere
punito.
Nel caso in cui le regole non piacciono, o sono
contraddittorie, o la fonte da cui provengono non è degna di fiducia., ecco che
entra in scena il Bambino Adattato negativo.
Egli reagisce
rifiutandosi di adattarsi ai messaggi genitoriali, anche se ciò sarebbe
ragionevole: si comporta perciò in maniera lesiva, poiché ha imparato dall’esperienza
che così facendo attira l’attenzione degli altri.
Ad esempio: Il soldato che non saluta il suo
superiore e poi si chiede quale sia il motivo della sua punizione.
Ci si può ribellare in maniera più sottile:
dimenticando, procrastinando, facendo piccoli errori, i capricci, mettendo il
broncio, definendosi, autoaccusandosi, sentendosi confusi o arrabbiati.
Questo Stato si chiama anche Bambino Ribelle.
Gli Stati dell’Io non sono attivati tutti
contemporaneamente; pensiamo,sentiamo, agiamo con lo Stato dell’Io che in un
determinato momento prende il comando sugli altri.
Osservando il comportamento dell’individuo si
può individuare quale parte dello stato dell’Io si sta utilizzando, ecco perché
queste suddivisioni funzionali possono essere chiamate
descrizioni comportamentali.
L’ individuo percepisce come “ Sé reale” lo
Stato dell’Io che in una data situazione predomina sugli altri.
In medicina e nel counseling sarebbe auspicabile
che le transazioni avvenissero tra gli Stati dell’Io Adulto anche se questo
difficilmente si verifica perché sia il paziente che il cliente soprattutto
all’inizio si trovano il primo in uno stato di sofferenza e di malattia e
quindi anche di dipendenza rispetto al medico e il cliente si trova in uno
stato di incongruenza avendo interiorizzato un copione di vita non costruttivo.
Berne ha definito il
copione “un piano di vita che si basa su di una decisione presa durante
l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi,
e che culmina in una scelta decisiva”.La teoria del copione sostiene che il
bambino redige un piano specifico della propria vita, sotto forma di reazione
drammatica che ha un inizio, un punto di mezzo e una fine. All’età di circa
quattro anni, le parti essenziali della trama sono già state decise. A
sette anni la storia è completata nei dettagli
principali. Nella preadolescenza si dà qualche ritocco o si aggiusta qualche
particolare. Durante l’adolescenza si rivede il copione e lo si aggiorna con
aderenza alla realtà del momento.
Il copione è decisionale: si
basa su una decisione presa nell’infanzia, è pertanto il bambino che decide
quale sarà il suo piano di vita. Ne consegue che bambini allevati dagli stessi
genitori e nel medesimo ambiente possono decidere piani di vita completamente
diversi.
Le prime decisioni del copione derivano dalle
emozioni e dall’esame di realtà del bambino, e vengono prese prima ancora che
egli abbia la capacità di parola. Il copione è rinforzato dai genitori:
attraverso messaggi non verbali e verbali. Tali messaggi
di copione che comprendono le ingiunzioni, i permessi, le parole d’ordine (le
spinte) costituiscono la struttura di riferimento in risposta alla quale il bambino
prende le principali decisioni di copione. E’ in tale modo che i genitori possono
esercitare una forte influenza sulla decisione di copioni di un bambino.
Giustificata dagli avvenimenti successivi: la
vita di ogni persona si presenta, pur con il variare delle situazioni
specifiche, con un’identità di fondo derivante dal fatto che gli avvenimenti,
le persone, i problemi che si incontrano nel corso della vita vengono
affrontati e gestiti sempre in modo abbastanza similare, basandosi sulle convinzioni
prese durante l’infanzia. Spesso non facciamo altro che interpretare la realtà
all’interno della nostra struttura di riferimento, cosicché essa possa giustificare
le decisioni del copione prescelto. Ognuno di noi svolgendo il proprio copione
ricalca le orme del passato, ripropone schemi e modelli di comportamento
appresi, replicandoli nel “qui ed ora” in modo automatico e spesso
involontario.
Il copione culmina in una scelta decisiva
(finale): la scena finale è detta tornaconto del
copione, ed è stata scelta quando il bambino piccolo ha scritto la
storia della propria vita.
Il carattere di ripetitività
del copione ci rivela che, quando da adulti si realizza il copione,
senza alcuna consapevolezza, si scelgono dei comportamenti che permettono di
raggiungere il tornaconto del copione prescelto. Quando le decisioni di copione
permettono di affrontare bene la realtà, si ha un copione
costruttivo detto vincente. È il copione delle persone che riescono a
vincere nella propria vita in senso completo, che cadono ma si rialzano, che
realizzano gli obiettivi prefissati nel pieno rispetto dei propri bisogni.
Si ha, invece,un copione
banale o non vincente quando le persone tendono ad accontentarsi di
vivere all’ombra dei vincenti e le decisioni prese non gli permettono sempre di
affrontare bene la realtà in modo completo e di sentirsi gratificati.
Un tipico copione banale femminile è quello
della casalinga tutta dedita ai lavori di casa: questa utilizza prevalentemente
il suo Genitore Affettivo con i figli e con il marito, non utilizza il suo
Adulto tranne che per le incombenze domestiche, né il suo Bambino per entrare
in vera intimità con gli altri.
Un copione maschile è quello dell’uomo d’affari
che lavora indefessamente agendo quasi esclusivamente con il suo Adulto ed evitando
le intimità ed il contatto con il suo Bambino.
Si ha un copione
perdente quando le decisioni di copione non aiutano a
gestire efficacemente la realtà e si ricevono solo
riconoscimenti negativi. È tipico delle persone disilluse che non credono in
nulla e non hanno fiducia in nessuno.
Ognuno in base al tipo di copione interpretato
assume una propria specifica “posizione di vita o
esistenziale” che rispecchia il grado di giudizio, stima, accettazione
che abbiamo di noi stessi e degli altri.
Il termine di maglietta
è usato per indicare la caratteristica generalmente non verbale, che
contraddistingue l’essere umano e che invoglia gli altri a dare una determinata
risposta. Ad esempio una persona che cammina
con le spalle curve e con una faccia ansiosa incontrerà o un carnefice che
vuole torturarla o un Salvatore che vuole salvarla.
La maglietta porta sul davanti un motto che è
quello che noi consapevolmente vogliamo che il mondo veda. Dietro c’è un messaggio
segreto al livello psicologico, ed è quello che determinerà chi sceglieremo nei
rapporti.
Ogni posizione di vita è incentrata sul
principio del sentire noi stessi e gli altri OK o non OK.
Essere Ok significa essere capaci di vivere il
rapporto con se stessi e con gli altri, in modo libero, autonomo, positivo e
spontaneo, e di affermare se stessi nel pieno rispetto degli altri. Gli
atteggiamenti in relazione a sé e agli altri sono fondamentalmente quattro:
1) IO NON SONO OK - TU SEI OK
2) IO NON SONO OK - TU NON SEI OK
3) IO SONO OK - TU NON SEI OK
4) IO SONO OK - TU SEI OK
1) Il primo è l'atteggiamento della primissima
infanzia; in esso è presente un aspetto positivo, dato dalle carezze. L'aspetto
negativo è l'accumularsi, nel bambino, di stati d'animo negativi su di sé:
egli, a causa della sua piccolezza e debolezza, si considera inferiore agli
adulti che lo circondano. Questo discorso può essere rapportato ad un adulto,
che si sente alla mercé degli altri e ha un grande bisogno di carezze o di riconoscimento.
2) Consideriamo ora il secondo caso: tutti i
bambini, superata l'infanzia, inizialmente giungono alla prima conclusione. Se,
subito dopo, cioè dopo il primo anno di vita, incontrano troppe difficoltà,
cessano le carezze e aumentano le punizioni, allora può accadere che ricadano
in questo secondo caso. Un individuo che assume questo atteggiamento, si
arrende, si chiude in sé e arriva a rifiutare lui stesso le carezze.
3) Nel terzo caso, avremo a che fare con un
bambino che, trattato in modo brutale, a lungo, dai propri genitori, assume di
essere OK; ma da chi potrà ricevere le carezze, se i suoi genitori sono
ritenuti NON OK? Forse, proprio da se stesso e dalle proprie capacità di
reazione. Una persona che mantenga tale atteggiamento, è vittima della mancanza
di carezze: può essere addirittura un criminale.
4) Nel quarto atteggiamento è riposta la
speranza. I primi tre sono inconsci poiché appartengono ai primi stadi
dell'infanzia; questo, invece, presume una decisione cosciente e si basa sulla
fiducia.
E'
importante dire che "non si assume un nuovo atteggiamento lasciandosi
trasportare dalle cose, bensì decidendo di adottarlo". L'unico modo di
diventare OK consiste nel rivelare la condizione infantile che sta alla base
dei primi tre atteggiamenti e dimostrare che il comportamento attuale non è
altro che la loro perpetuazione.
Il copione di vita, dunque, può essere cambiato,
rideciso e riscritto se l’uomo recupera la propria autonomia e si libera dai
condizionamenti interni ed esterni imposti ed autoimposti, dandosi il permesso
di essere realmente se stesso.
Il Counseling ha come obiettivo quello di
promuovere la chiusura di un copione non costruttivo e di avviarne uno migliore
stimolando l’autonomia del cliente che può essere raggiunta attraverso la
riconquista della consapevolezza, della spontaneità e dell’intimità.
Il
Counselor pertanto, a seconda della situazione potrà esprimere e fare entrare
in risonanza i suoi stati dell’Io con quelli del cliente. Con ciascuno stato
dell’Io il Counselor offre un dono al cliente:
·
lo stato dell’Io Genitore offre Protezione al cliente, dando permessi costruttivi che
favoriscono la crescita psicologica ed emotiva del cliente.
·
Lo stato dell’Io Adulto: offre il Permesso lascia il cliente libero di scegliere e di
liberarsi da qualsiasi condizionamento del passato
·
Lo stato dell’Io Bambino dona la Potenza che consiste nell’esprimere creatività ed
entusiasmo in modo che il cliente riesca nuovamente a contattare le proprie
emozioni ed i propri bisogni in modo spontaneo.
Il
Counselor fornendo le tre P: permesso protezione e potere si propone come
obiettivo quello di mettere il cliente nelle condizioni di procurarsi da solo
il permesso, la protezione ed il potere.
Attualmente
la medicina non ha una visione olistica dell’uomo e quindi antropocentrica ma
organocentrica cioè il medico guarda la malattia, guarda l’organo. Ha estrema
difficoltà a considerare nel suo insieme la persona.
Il Medico, Counselor, al contrario considera
il paziente nella sua globalità e attraverso la congruenza e la spontaneità fa
sentire il “paziente Ok come persona” garantisce protezione al paziente, ma al
tempo stesso pur consigliandolo lo lascia libero di scegliere un percorso
terapeutico al posto di un altro.
Talvolta
proprio perché il paziente è un individuo sofferente si trova in uno stato di
incongruenza agisce con lo Stato dell’Io bambino e ricerca nel Medico una
figura Genitoriale normativa che lo rassicuri e lo indirizzi verso una cura.
Attraverso
l’empatia, e una comunicazione aperta e spontanea il Medico, in particolare
colui che ha acquisito competenze in Counseling, dovrebbe reindirizzare il
paziente verso uno Stato dell’Io adulto affinchè il rapporto si svolga alla
pari ed il paziente possa sentirsi autonomo e padrone del proprio destino ma
supportato e preso in cura dal medico.
Come
nel Counseling, medico e paziente fanno un percorso insieme e l’aiuto dato dal
medico al paziente è dato anche dalla relazione che si instaura tra i due.
La
differenza risiede nel fatto che il medico oltre
alla relazione deve svolgere un’azione: o tramite la somministrazione di
farmaci oppure agendo chirurgicamente.
In
medicina, dunque, da un lato c’è l’aspetto legato alla relazione e
quindi l’aiuto attraverso la relazione.
Dall’altro lato c’è l’aiuto attraverso un atto,
attraverso un’azione.
In
conclusione, si può dire che la dimensione relazionale completa ed integra .il
lavoro del medico consentendogli di svolgere egli stesso un percorso di
crescita che lo arrichisce spiritualmente ed umanamente.
Descrizione del la
figura del medico nella tradizione medica tibetana
“… il medico deve essere dotato di una
mente analitica, esercitata nello studio e provvista
di una certa facoltà intuitiva; deve
essere disposto a curare ogni paziente come fosse la propria madre, deve essere
calmo nel corpo, nell’eloquio e nella mente, la
calma del corpo si manifesta
nell’accurata attenzione nel predisporre le medicine; la
calma nell’eloquio ha lo scopo di
risollevare il morale del paziente, di farlo rilassare e metterlo a suo agio; la
calma mentale infine consiste nel rimanere
vigile e attento mentre si applica alla diagnosi e alla terapia del male …”.